Sembra non esserci altro argomento a tenere banco per ora. Anzi, peggio, qualsiasi argomento di conversazione scivola inevitabilmente verso la madre di tutte le tragedie: la crisi economica. C’è traffico: ci colpa la crisi. Fa troppo caldo: ovvio, c’è la crisi. Un virus intestinale sta colpendo tutti i bambini in età scolare e le rispettive madri: è la crisi. Serpeggia un costante e unanime lamento in città, in Italia e nel mondo e non si fa altro che parlare di soldi – cosa assolutamente poco chic – che mancano, che non bastano che non-si-arriva-a-fine-mese. Sapete che vi dico, è una grande bufala, non è niente vero. Innanzitutto sento la frase i soldi non bastano più da quando ero in fasce e, onestamente, se ci fosse stata una crisi economica di tale portata da 38 anni, saremmo tutti a coltivare patate e vestirci con la pelliccia di cinghiale o le foglie di vite per gli animalisti. In realtà, quello della crisi economica è un argomento nato dall’esigenza di creare solidarietà tra la gente, per unirci, per farci socializzare, un diversivo rispetto al calcio e al matrimonio di Belen. In quanto a me, il mio conto in banca è in rosso da quando ne ho memoria, mica da un paio d’anni. Sono nata debitrice. Per il resto non vedo grossi cambiamenti.
È vero, chiudono le aziende, le fabbriche e gli uffici, ma secondo me è solo perché molti imprenditori sono stanchi e hanno deciso di cambiar vita, di mollare tutto e chi si è visto si è visto. E si fa con spirito filantropico. Basta con questa schiavitù del lavoro! Affranchiamo questi poveri dipendenti che ogni giorno devono presentarsi alla stessa ora, nello stesso posto, con la stessa aria mesta. Non alienatevi, godetevi il sole e questa tarda estate, andate e moltiplicatevi. Ecco cosa sta succedendo, stiamo vivendo una nuova era, in cui si bada più alla gioia, all’armonia interiore e col mondo, alla pace con se stessi, piuttosto che al vile denaro. Che poi i soldi ci sono. Qualcuno vede meno auto in giro? Io ne vedo di più. I negozi sono vuoti, altra bufala. Ma quali? Se parliamo di quelli in cui una cintura costa quanto 2 mesi di stipendio, ok. Lo sono sempre stati. Entra un cliente a settimana e con l’acquisto fatto da quel cliente si pagano fornitori, dipendenti, affitto, acqua-luce-gas. Gli altri negozi sono pieni come prima.
L’altro giorno da Zara sono entrata con la luce del sole ed uscita che era buio pesto. In fila alle casse ho conosciuto bella gente, siamo diventati amici e abbiamo persino improvvisato un torneo di tressette con tanto di premiazione e applauso delle commesse. Per comprare un paio di spet-ta-co-la-ri ankle boots da Prima Donna ho dovuto arrampicarmi alle pareti, fare a botte due volte e allungare una banconota alla commessa per dare a me l’ultimo 39 verde muschio rimasto, piuttosto che a una sbarbatella bionda. Da Kiko sono stata sollevata di peso e portata fuori da quei nerboruti vestiti come becchini, perché ho tentato di scavalcare una signora con in mano una quantità di pennelli sufficiente a ritinteggiare casa. Almeno ho compreso il vero ruolo di quegli omoni che sembrano usciti da un clan italo americano degli anni trenta; io che pensavo fossero lì per dare un parere maschile sullo smokey… credo anche di aver chiesto loro qualche consiglio sul mio incarnato spento. Insomma, i negozi pullulano, la quantità di borse griffate in giro è sempre la stessa, i parrucchieri lavorano anche il lunedì e la domenica, cosa vogliono farci credere? Prendiamo locali e ristoranti. O ti presenti all’ora in cui servono la pastina negli ospedali, con i camerieri che ti guardano come se fossi un turista appena sbarcato, vittima del fuso orario, o ti prepari ad aspettare. In piedi, fissando con odio quelli seduti che mangiano, generando in loro la dose giusta di soggezione affinché ingurgitino quello che hanno nel piatto nel più breve tempo possibile. Tutto questo mentre un pover’uomo urla sull’uscio ad intervalli regolari di un quarto d’ora nomi di battesimo e cifre: Pippo da 6! Accolto da espressioni di giubilo di Pippo e i suoi 5 amici. Ora mi chiedo, cosa fanno queste persone, cosa fa Pippo, paga in natura?
I soldi ci sono. Io, per prima, sono ricca. I primi 15 giorni dopo lo stipendio. Semmai sono un’assertrice di una rivisitazione dei mesi, ai fini degli emolumenti, proponendo gennaio e gennaio bis, febbraio e febbraio bis, e così via, soluzione che mi permetterebbe di mantenere costante il mio stile di vita. La mia idea non è piaciuta a lavoro, insieme a quella di introdurre una domenica fra martedì e giovedì, ma si sa, nessuno è profeta in patria. Certo, mi viene il dubbio che anche i miei datori di lavoro vogliano sposare questo nobile sentimento di liberare i dipendenti. Ovviamente mascherandolo con questa storiella della crisi. Ma basta prenderla con spirito! Avrei molto più tempo per me stessa e per i miei interessi. Potrei cominciare a farmeli degli interessi. Il problema sarebbe semmai provvedere ai generi di prima necessità, tipo le sigarette o la crema antirughe. Comincerei a farmi le sigarette da sola, col tabacco e cartine, che si risparmia. Magari mi farei anche le treccine rasta e trascorrerei le mie giornate a zonzo con una coppia di cani e una chitarra. Potrei rimediare gli spiccioli necessari per l’antirughe. Anche se, abbracciando questo stile di vita un po’ bohémien, l’antirughe non servirebbe più. Magari accetto un part time. L’azienda risparmia e io avrei del tempo libero da trascorrere con mio figlio, facendo insieme i compiti al pomeriggio, visto che il doposcuola diventerebbe una spesa superflua. Inviterei anche i suoi compagni per merende di studio fra tabelline e australopitechi. Forse non potrei permettermi più l’affitto, ma tornerei a casa dei miei. Ecco il vero scopo della crisi economica! Avvicinare le famiglie! Ok, finiamola con questa storia della crisi, abbiamo scherzato abbastanza. Magari passo da Kiko, non si sa mai abbiano bisogno di una nuova commessa.
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Nevrotica ma non isterica.
Acida ma non indigesta.
Tagliente ma non letale.
Madre ma non moglie.
Vivo. Scrivo. Rido.
Giusy Pitrone
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