C’è una piaga sociale che sta preoccupando milioni di persone, un vero e proprio flagello per la comunità: l’inattendibilità delle previsioni meteo. Suvvia, siamo gente pratica noi, i nostri problemi e i nostri drammi non sono di natura esistenziale. Al crepuscolo, nelle nostre accoglienti dimore, non ci mettiamo a fare bilanci delle nostre vite, a scandagliare il fondo delle nostre anime, ad analizzare le aspettative mai appagate e progettare nuovi sviluppi del nostro ego.
L’interrogativo serale è cosa diamine dobbiamo metterci addosso domani, se uscire con lo scooter o con la macchina, se i nostri figli potranno fare l’allenamento di calcio o ce li dovremo piangere l’intero pomeriggio, se saremo costrette partire da casa mezz’ora prima causa traffico da pioggia o avremo il tempo di prendere un caffè prima di arrivare in ufficio, ed altre questioni pragmatiche che non sono meno nobili di quelle teoriche. Se sei una mamma single in crisi esistenziale, lo resterai anche se svisceri la tua intera esistenza. Se invece metti sù i tronchetti scamosciati e ti sorprende un’alluvione, piomberai nello sconforto più nero e probabilmente anche in una pozzanghera di fango per una scivolata da tacco alto sul terreno sdrucciolevole. Ecco cosa pensano le donne (e anche gli uomini) che devono fare i conti con la vita di tutti i giorni.
Che se potessimo devolvere l’otto per mille alla ricerca per il perfezionamento delle previsioni del tempo, lo faremmo tutti. Viviamo in una bellissima città dal clima tropicale in cui si alternano giornate di sole cocente e caldo asfissiante a giorni di piogge catastrofiche e venti simili ai monsoni che ti dice bene se un cartellone pubblicitario volante non ti decapita come Maria Antonietta di Francia. In circostanze simili la corsa al meteo è fondamentale. Internet, applicazioni sui telefonini, vere e proprie stazioni meteorologiche montate nelle mansarde, giri di telefonate con parenti e amici per confrontare i dati in possesso: le case si trasformano in centrali operative della protezione civile per essere in grado di prevedere ciò che accadrà. Purtroppo il margine di errore è altissimo, generando risultati tristemente drammatici. Chi come me infatti è costretta a trascorrere l’intera giornata fuori casa resta vittima delle fallaci previsioni. In questo autunno caldo mi sono ritrovata più di una volta con galosce e impermeabile sotto i 30 gradi dell’ora di pranzo, accanto a gente in prendisole e infradito che mi guardava come fossi fuggita da un ospedale psichiatrico. Questi voli da Londra sono sempre in ritardo! ho provato a buttare lì, ma con pochissima credibilità e il sudore che imperlava la mia fronte. Peggio, quando mi sono ritrovata a fare il pediluvio negli avvallamenti delle nostre strade con i sandali, pantaloni Capri e camicia bianca, in puro stile marinaro, mentre veniva giù una delle piaghe d’Egitto. Ampie schiarite e rialzo termico, dicevano i dati dal merdoso satellite.
Ogni giorno assistiamo inermi allo spettacolo indecoroso del mescolarsi di camicie fiorate con giacconi imbottiti, stivali con décolleté open toe, calze ultracoprenti e gambe nude. Stiamo diventando sempre più simili ai turisti tedeschi in bermuda e maniche corte a febbraio. Chi fa finta di infischiarsene del tempo e di non lasciarsi condizionare, mente o si ritroverà impanicato e impantanato in caso di imprevisti, magari sotto un balcone in sella al motorino, oppure a sudare come in un bagno turco col golfino nuovo di cachemire. Altro risvolto di questa mancanza di stabilità meteorologica e relativa imprevedibilità, è l’idea malsana dei miei concittadini che sole significhi caldo. Ci stanno martoriando il sistema nervoso con questa teoria dell’estate autunnale. Basta che ci sia il sole e che sia domenica che si riversano nelle spiagge con le loro carni tremule e i costumi non ancora stipati nel sottovuoto, a fotografarsi e postare su Facebook, a beneficio di amici e parenti dell’alta Italia, che nell’ immaginario dei temerari bagnanti, moriranno d’invidia all’idea che a novembre i messinesi facciano il bagno a mare. Gli avventori di queste simpatiche cartoline, meschini, sono già in dolcevita e pantaloni di velluto a sorseggiare bevande calde e nutrirsi di polenta, hanno già fatto il cambio stagione e stanno tirando fuori gli addobbi di Natale. Come potrebbero mai invidiare degli incoscienti con le labbra violacee che si immortalano nelle acque nostrane e che il giorno dopo ricorreranno alla tachipirina mille? Che negli armadi hanno ancora gli shorts accanto alla giacca a vento? Perché non postare allora anche le foto delle supposte e del brodino caldo dell’indomani? Ok, c’è una bella giornata, ma perché non accontentarsi di una passeggiata invece di fiondarsi a tutti i costi in spiaggia con la pelle d’oca e un rischio di blocco della circolazione? Altro sintomo di quanto le condizioni del tempo siano fondamentali per noi esseri umani è la nostra meteoropatia.
Ci girano le palle a tutti se piove. Ci girano pure se fa un caldo boia. E anche qui il ricorso al social network, che siamo gente comunicativa, che ci piace assai condividere. Tutti a postare che piove, grandina, c’è caldo, si soffoca, fa freddo. Una serie di utili comunicazioni di servizio per chi vive in un bunker sotterraneo o comunque non possiede finestre. Un utilizzo davvero social.
Sia chiaro, non ho ancora 40 anni.
Nevrotica ma non isterica.
Acida ma non indigesta.
Tagliente ma non letale.
Madre ma non moglie.
Vivo. Scrivo. Rido.
Giusy Pitrone
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